Quello di Marta Rovatti Studihrad è uno stile fotografico che ha la tendenza a viziare e a privare contemporaneamente lo spettatore: nei suoi scatti prevale una sorta di pulsione a non descrivere mai la realtà per quella che è, quanto piuttosto a reinterpretarla attraverso artifici visivi che deformano lo spazio scenico per rioffrirlo in una chiave di lettura che attinge all’immaginario emotivo privato e personale.
In questa sua prima mostra personale presso i nostri spazi, dal titolo “Crystal Clear”, la giovane fotografa presenta una sintesi di due distinte ricerche fotografiche: “Latent Content” e “Summer 1993”.
La prima costituisce il racconto intimista di un’estate lontana, rimasta impressa nella memoria dell’autrice attraverso immagini molto intimiste che rievocano sensazioni, profumi, situazioni che il tempo ha scolpito nel ricordo quasi idealizzandole, consegnandole ad un piano che trascende il reale e diventa, di fatto, onirico.
La seconda ricerca, invece, preleva lo spettatore e lo traspone facendogli perdere ogni riferimento tra ciò che è reale e ciò che non lo è: giochi di luci e di riflessi su specchi d’acqua metropolitani rendono impossibile capire da quale “parte dello specchio” ci si trovi, creando l’illusione di trovarsi da entrambe le parti contemporaneamente e, di conseguenza, ottenendo con grande efficacia l’effetto di confondere, togliendo i riferimeti poco alla volta.
Nel complesso, si tratta di una serie di lavori che, lavorando ora sui punti di fuoco, ora sulle superfici, conducono ad un risultato estetico che sembra avere un retrogusto quasi pittorico, che ammicca ora a Monet, ora a Sironi.
Palazzi e ninfee, ciuffi di capelli scuri sul campo di un incarnato chiarissimo e quasi bruciato dalla luce, l’erba alta nei campi: sono questi i complementi d’arredo di quel salotto iperuranico in cui veniamo fatti accomodare quando decidiamo di assaporare le fatiche di questa giovane autrice.