Maurizio Radici, “La pala del Diavolo”

Il rosso, il nero e il bianco sono i personaggi protagonisti di questa nuova rappresentazione di Maurizio Radici dal titolo provocatorio La pala del diavolo.La tendenza apocalittica dell’artista prorompe nel colore sfacciato e senza equivoci del rosso che pervade chi guarda in sangue e in dolore, il nero in luogo dell’ombra dove ci si perde e da cui non si torna. Il bianco rimane come flebile anima, virgola di un soffio appena uscito da una gola strozzata. Radici sta li a guardare, Caronte dei dannati che non vedranno mai la luce e si accorge che tra loro c’è un uomo che vive.Opere come l’arca, poetico vascello alla deriva, costituisce un segno tangibile di un media che transita tra il terreno e il divino. ”Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’eterno dolore…”. Radici rievoca citazioni letterarie scolpite sulla sommità di una porta infernale e umanamente sta sulla soglia del mondo delle anime perse. Da qui passano sagome con corpi di fuoco e visi indecifrabili avvolti da gabbie oscure, forme nere con colli proboscidali, tratti di anfore rosse e una salma di un corpo imbalsamato, stretto da teli e segni da cui emerge in un urlo fatto di silenzio e di dolore, un volto. Animali eleganti e carichi di un peso oscuro, sagome stilizzate di sedie. Spesso, questo tipo di produzione di Maurizio Radici, viene codificata come arte informale. In realtà, l’artista, come non mai, fa pulsare la forma e pone lo spettatore, in modo crudo, di fronte alla conoscenza. In una recente intervista rilasciata a Lorenzo Soria per la Stampa, Pedro Almodovar, afferma che quando è concentrato sul lavoro i suoi dolori diminuiscono e appena finisce ritornano: “Per fortuna ho imparato a conviverci. E la mia curiosità per la vita e per la condizione umana, resta quella di sempre”. Maurizio Radici ha una tavolozza di colori simile a Almodovar, decisamente sempre più scura, decisamente tagliata con il coltello, il nero, il rosso, il bianco. Radici si ferma un attimo prima: non ha imparato a convivere con il dolore, non può accettare il dolore inumano per l’umanità. Il grido di Radici è una ribellione all’informale per la vita di una forma, l’unica possibile. “Nel 1987 ho realizzato una mia personale con il tema predominante delle sedie- racconta l’artista- le sedie del potere dove puoi trovare la morte, la sedia della torura, la sedia del potere ecclesiastico, la sedia del potere politico, la sedia simbolo di sesso e oggetto di desiderio. La sedia è un frammento, di un vecchio amore, è un oggetto che appartiene al corpo, diventa parte dell’essere e può creare emozione”. La sedia è il segno tangibile della forma, l’impronta lasciata dal corpo che trasuda l’energia e la storia di chi c’è stato. I segni e i simboli in Maurizio Radici oltrepassano il significato e indagano una profondità dell’essere atemporale che vibra e tocca le corde più intime dell’umanità. Caronte è un demone, ma è anche un uomo che avanza con l’età. Radici accoglie il suo demone, sprofonda in luoghi impraticabili ai più e si ribella alla forma barbara del dolore umano, per nobilitare l’espressione dell’esistenza a uno stato trascendente e divino. La pala del diavolo è il piatto dove sistemare le anime dannate da bruciare all’inferno, ma chi inforna è un demone che ha conosciuto la natura dell’uomo. Tra le campiture grondanti del rosso e i neri profondi, Radici traccia linee eleganti che regalano all’osservatore la grazia e lo stile sapiente dell’artista. In una prepotente natura titanica, si leva sottile la leggerezza di un segno bianco, di una piuma, di una lacrima che non sarà mai visibile, ma che si sentirà sgorgare varcando la soglia del dolore di un uomo.

Bianca Laura Petretto

 

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